Alla Fine di un Viaggio

I miei safari al Kruger Park

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In un post precedente ho raccontato il mio primo (e al momento unico) viaggio in Africa. Che in realtà, più che un viaggio in Africa è stato un bellissimo e originale Natale in famiglia. Comunque sia, si è trattato di un passaggio troppo fugace rispetto a quello che i tre paesi che ho toccato durante la mia permanenza, ossia il Sudafrica, il Mozambico e lo Swaziland, hanno da offrire.
Oggi ho voglia di catapultarmi con il pensiero e con i ricordi tra quei sorrisi e quei colori, entrando nel merito di una delle esperienze più indimenticabili che si possano fare nella vita: il safari in Africa. E, per la precisione, al Kruger Park, uno dei principali parchi sudafricani.

Li-ber-tà. È questa la prima parola che mi balza in mente ripensando al safari. Nel momento in cui la mega jeep parte (non so se “jeep” sia la definizione più adeguata, ammetto di essere alquanto ignorante in materia) e si aprono per te i cancelli del Kruger National Park capisci che stai per diventare il protagonista di un’autentica avventura, di quelle con la A maiuscola. Di lì a poco vedrai qualcosa che non potrai dimenticare mai.
La mega jeep procede tra i sentieri selvaggi di quella distesa enorme (voi come lo immaginate il territorio di un parco africano?) e tu ti becchi in piena faccia il vento. E riesci a percepire vividamente la libertà di ogni essere che incontri lungo il percorso o che sosta ai lati della strada come se stesse fermo lì in attesa di salutarti (alcuni animali a volte sostano pure in mezzo alla strada, ti si piantano davanti alla macchina e guai a disturbarli o a chiedergli di spostarsi). Una libertà tangibile, puoi sfiorarla con le dita e fissarla negli occhi da vicino.

Fare un safari al Parco Kruger (e credo valga lo stesso per qualsiasi safari) è come entrare nel mondo fantastico con il quale hai giocato miliardi di volte da bambino. Ti immergi in un’atmosfera naturale che stimola tutti e cinque i sensi, li potenzia e ricevi input da qualsiasi elemento: che siano  i disegni nel cielo all’ora del tramonto, che sia l’odore della terra, che siano le voci di uccelli e altri animali. E proprio osservando gli animali nella loro quotidianità capisci quanto lo spettacolo che hai davanti non abbia nulla a che vedere con le immagini proposte da cinema e televisione e men che meno con il circo o le gabbie dello zoo. In un certo senso è come se i tuoi occhi vedessero quegli animali per la prima volta. Respiri la loro vita vera, vai a trovare giraffe ed elefanti a casa loro.

Nell’arco di quelle 4-5 ore di percorso pendi dalle labbra della tua guida e speri fermamente che ti conduca a far visita a quanti più esemplari possibili, compresi quelli di cui ignoravi l’esistenza. Fino al momento in cui, finalmente, ti ritrovi davanti i mitici Big Five e senti il cuore che manca un paio di battiti per l’emozione. Resteresti lì per ore a osservarli.
Allo stesso tempo, ti sorprendi a fotografare uccelli e rapaci di tutti i colori, coccodrilli dall’espressione cattivissima e simpatici camaleonti che procedono in avanti come stessero danzando.
Il mio unico rimpianto: non aver visto il leone. Nonostante abbia fatto ben due safari al Kruger Park (quello serale e quello diurno che ci ha preso più di mezza giornata) e macinato chilometri e chilometri a bordo della jeep. Mancava solo lui. Evidentemente si è nascosto ben bene. Mannaggia.

In un luogo come il Kruger Park dove ogni forma vivente, insetti compresi, viene trattata come fosse sacra, le storie di abusi e soprusi sulla natura che leggi sui giornali o ascolti alla tv ti appaiono in un lampo come delle assurdità ancora più inconcepibili. Fare un safari in Sudafrica, oltre alla vita vera, ti mostra cosa sia il rispetto.
Piccola nota comica, a proposito di insetti: ovviamente, in Africa non puoi pensare di cavartela con qualche ragno o qualche cavalletta. Specie se decidi di fare un safari serale al Kruger Park viaggiando su una jeep completamente aperta mentre i tuoi compagni di viaggio illuminano la strada impugnando torce giganti e attirando così qualsiasi essere volante dentro l’abitacolo. Ecco, in quel caso ammetto di essermi lasciata scappare qualche urletto, soprattutto perché non avevo idea di che tipo di bestia mi stesse volando intorno atterrandomi in testa o sui piedi. E probabilmente in quel momento ho anche pensato a chi me l’avesse fatto fare. Poi, però, mi sono resa conto che anche queste piccole (che poi piccole mica tanto) presenze volanti fanno parte del gioco. E ho accettato il fatto che mi piombassero in testa. Tanto intorno a me era tutto buio, mica le vedevo.

Infine, un’ultima riflessione. Quando si parte per un safari, pur immergendosi nella natura non è detto che si arrivi a percepirne chiaramente la grandezza. È lampante il fatto che tu e la mega jeep sulla quale stai viaggiando siate un niente, al confronto. Capisci quanto ci sia ancora di inesplorato, quante cose tu non abbia ancora mai esplorato, e quante cose tu debba ancora imparare. Arrivi giusto ad afferrare che la natura è un mondo a parte, con i suoi ritmi e le sue logiche. Ma togliti dalla testa che scattando anche migliaia di fotografie riusciresti a documentarlo.

 

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