A volte la vita cambia di botto. Anche (e soprattutto) quando non lo immagineresti mai. Anche se sei una persona normale che ha vissuto sempre nello stesso posto, che si è divisa tra la gestione di una casa, la cura di due figlie, di un cane e un gatto, la passione per il volontariato, gli amici e i tanti piccoli problemi della quotidianità. Poi, a un tratto, arriva quella proposta di lavoro inaspettata che implica trasferirsi in Africa e ti trovi a dover seguire tuo marito verso terre lontanissime e sconosciute.
E così, a 50 anni, Anna (che poi è la mia mamma) ha lasciato la Sicilia e si è trasferita prima in Congo, poi in Kazakistan, in Mozambico e, infine, sei mesi fa, a Luanda (Angola), dove probabilmente resterà per un altro anno. E io sono felice e orgogliosa di poter inaugurare la nuova sezione “Interviste” del blog con il racconto della sua esperienza straordinaria. Buona lettura!
Com’è stato lasciare la Sicilia e l’Italia dopo aver vissuto lì per una vita e trasferirsi in Africa?
Inizialmente mi recavo in Africa per brevi periodi, la vivevo quasi come una vacanza. Non avevo idea di cosa avrei trovato lì, temevo l’Africa solo in quanto terra ignota, a me sconosciuta. Sono partita portando con me medicine e disinfettanti, credendo di non trovarne.
Le poche paure che avevo sono svanite nel nulla non appena sono scesa dall’aereo e mi sono sentita avvolta da tutti quei colori, i profumi, le facce sorridenti della gente. È stato amore a prima vista.
Non ho mai avuto paura di lasciare la Sicilia, la mia unica preoccupazione era per le figlie lontane e le persone care che restavano in Italia.
Prima di andare a vivere in Africa come immaginavi che sarebbe stata la vita lì?
Non avevo un’idea molto precisa di come sarebbe stata la mia vita lì. Il primo posto in cui ho vissuto è Pointe Noire, una città piccola, un contesto molto diverso da quello delle grandi capitali in cui mi sono trasferita negli anni successivi. Lì mi muovevo in completa autonomia, sola con la mia auto, senza scorta. Non mi sono mai sentita minacciata da alcun pericolo.
Prima di trasferirmi in Congo, avvertivo un po’ il timore della nuova quotidianità: non avrei vissuto in hotel servita e riverita, e quella non sarebbe stata semplicemente una vacanza; avrei vissuto in un appartamento e avrei dovuto cominciare a gestire una nuova vita in un paese completamente diverso dal mio.
Altro timore legato al trasferirsi in Africa: la lingua. Fortunatamente, però, è venuto in mio aiuto il francese che avevo studiato anni prima a scuola e, tutto sommato, dover comunicare in una lingua straniera non mi ha dato grossi problemi. E comunque eravamo circondati anche da tantissimi italiani, colleghi che sono poi diventati amici cari, grazie ai quali non abbiamo avvertito per niente la solitudine.
Come è stato inserirsi in un posto con abitudini e stili di vita completamente diversi da quello da cui provieni?
Ho portato il mio stile di vita in Africa, riuscendo più o meno a mantenere le mie abitudini. Certo, chi pensa di trasferirsi in Africa deve essere in grado di adattarsi. Se vai a fare la spesa non puoi pensare di trovare tutto quello che ti serve in un unico supermercato. In Africa ho cominciato a girare per mercati e pescherie, cosa che in Italia non facevo quasi mai. Devi saper cercare le cose che ti servono e, a volte, non riesci a trovare tutto quello che vorresti.
A Luanda compro il pesce direttamente in spiaggia: c’è un mercato in cui vendono di tutto e trovi una quantità enorme di pesce, di tutti i tipi e le dimensioni.
Quando arrivi in questa spiaggia vieni subito circondata da ragazzini che vogliono offrirti i loro servizi: ti chiedono di accompagnarti a fare la spesa con le loro grandi mastelle dentro cui puoi mettere la roba che compri, ti aiutano a scegliere il pesce e te lo puliscono.
A Luanda vedi tante donne che girano per la città portando sulla testa delle ceste enormi dove tengono i prodotti che vendono: pesce, frutta, scatolette di plastica per alimenti. Alcune di loro preparano il pasto per chi va a lavoro. Molte, oltre alla cesta sulla testa, hanno anche un bambino legato alla schiena.
Il primo impatto con l’Angola è stato difficile: Luanda è una città molto grande e, abitando in pieno centro, mi scontro ogni giorno con la sporcizia delle strade e la miseria della gente. Gente vittima delle mine o di malattie invalidanti che in Occidente non esistono più.
La povertà porta con sé la delinquenza. Per questo motivo l’azienda per cui lavora mio marito non ci consente di girare liberamente per la città ma ci raccomanda di spostarci sempre in auto con l’autista. In realtà qualche volta disubbidiamo ma limitiamo i nostri giri agli orari più sicuri della giornata e non ci allontaniamo dalle zone controllate. Ovunque, a Luanda, ci sono guardie e militari armati fino ai denti: davanti agli hotel, alle banche, e persino davanti alcune botteghe.
Con il Mozambico, invece, l’impatto è stato molto diverso. Anche lì c’è molta povertà ma è tutto più bello: il mare, la spiaggia chilometrica, gli alberi di Jacaranda. Maputo è una città sempre in fiore e dicono che oggi lo sia meno rispetto a un tempo a causa del boom dell’edilizia che il paese ha registrato negli ultimi anni.
Come sono visti gli europei dalle popolazioni africane?
Secondo la mia esperienza gli europei non sono mal visti. Forse sono guardati con un po’ di invidia per le condizioni privilegiate in cui vivono. Anche i portoghesi, che in passato sono stati colonialisti, oggi sono perfettamente integrati nella vita del paese. Si sono anche mescolati alla popolazione locale: sia in Mozambico e sia in Angola, infatti, ci sono molte famiglie miste.
Com’è la tua vita lì?
Per certi versi trasferirsi in Africa non ha comportato grandi cambiamenti alla mia vita. Sono una casalinga così come lo ero in Italia. Con la differenza che, in Angola, non posso muovermi liberamente. Qui è quasi impensabile andare in giro per negozi, al cinema o a teatro. Però, c’è di bello che è molto facile organizzare un weekend in posti stupendi. Ci sono luoghi di mare bellissimi a mezz’ora da Luanda o da Maputo. Ci si può spostare facilmente in un altro paese: da Luanda, ad esempio, la Namibia è a poche ore di volo. Da Maputo, invece, con un paio d’ore di auto arrivi in Sudafrica.
Per il resto, faccio volontariato con i bambini, così come facevo in Italia. Cerco di stringere legami con gli amici e i colleghi di mio marito e le loro famiglie e di trascorrere insieme a loro più tempo possibile. I legami rappresentano la principale ricchezza che queste esperienze all’estero ci hanno regalato. In questi anni abbiamo stretto forti amicizie con persone provenienti da tutto il mondo: sudamericani, africani, nordeuropei, esteuropei.
Hai contatti con la popolazione locale?
Ovunque abbiamo contatti con gli angolani: quando andiamo a cena fuori, o nell’orfanotrofio dove faccio volontariato, o quando vado a fare la spesa o in palestra. Alcuni colleghi di mio marito sono angolani. Sono persone molto accoglienti, calorose, con il sorriso sempre pronto. Non si piangono addosso nonostante la loro vita non sia semplice. E poi, per strada, ti salutano sempre: ti percepiscono “diverso” da loro ma ti accolgono comunque.
C’è qualcosa che non ti aspettavi di vedere o trovare nei paesi africani e che ti ha sorpreso (in negativo e in positivo)?
Trasferirsi in Africa significa anche venire a contatto con situazioni gravi a cui prima non pensavi neanche. Per esempio l’alto tasso di prostituzione, fenomeno che purtroppo riguarda anche i minori, specialmente in Congo. La prostituzione minorile è diffusa anche in Angola, sia tra i bambini e sia tra le bambine. A Luanda, un’associazione mette al servizio un mezzo che di notte si sposta per la città per compiere un censimento di tutti i bambini che di notte si aggirano per la vie e per tentare di aiutarli. Organizzano ad esempio partite di calcio notturne proprio per toglierli dalla strada.
Altra cosa che mi ha colpito (questa volta in positivo) è la quantità strabiliante di bambini e giovani che ci sono in questi paesi rispetto all’Italia. La vita media, in generale, è più bassa: in Congo, ad esempio, non vedi anziani per strada, in Mozambico ne vedi pochi e in Angola qualcuno in più.
In Africa i figli sono considerati una ricchezza perché rappresentano forza lavoro. Solitamente sono le donne a pensare ai figli e a mantenerli e molto spesso li fanno con la speranza di riuscire a tenere legato a sé il proprio uomo. Cosa difficile visto che la poligamia è parecchio diffusa. Ed è diffusa nonostante siano popolazioni molto religiose; ma in Africa le tradizioni, evidentemente, sono più forti della devozione.
Quali sono i posti più belli che hai visto in Africa?
Ho avuto la fortuna di viaggiare tanto, in questi anni. Tra i luoghi che ricordo con più trasporto ci sono le cascate Vittoria, il Capo di Buona Speranza, il mare di Zanzibar, la Ilha de Moçambique, il deserto della Namibia.
L’esperienza più emozionante però è stato il safari in Botswana, durante il quale ho incontrato tutti i Big 5 tranne i rinoceronti, che però avevo già visto in Sudafrica.
Senti la mancanza di qualcosa?
Delle mie figlie e delle persone care che sono rimaste in Italia.
Trasferirsi in Africa, a volte, può implicare la mancanza di cose molto banali come la libertà di potersi fare una semplice passeggiata. O di potermi muovere in autonomia. Non avendo il permesso di guidare dipendiamo dall’autista per ogni minimo spostamento. E tra l’altro il traffico di Luanda è una cosa impossibile, devi prestare molta attenzione a tutto.
Quali cose (belle e brutte) dell’Africa ti porterai dietro per sempre?
La nostalgia dell’Africa ce l’avrò sempre. Dei colori, dei tramonti, del calore delle persone, dell’oceano, delle foreste. Cose che mi porterò nel cuore quando andrò via da qui e che mi mancheranno sempre.
Resteresti in Africa a vita?
Se potessi portare con me le mie figlie sì.
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